A review by ilariam
Quello che non ti ho mai detto by Celeste Ng

5.0

“Com’era possibile passare così tante ore spalmando burro di arachidi sul pane? Com’era possibile passare così tante ore cucinando uova? All’occhio di bue per James. Sode per Nath. Strapazzate per Lydia. È doveroso per una buona moglie conoscere le sei preparazioni basilari delle uova. Era triste? Sì. Era triste. Per le uova. Per tutto.”

Una famiglia diversa da tutte le altre quella dei Lee, eppure così simile a tante per i silenzi, le incomprensioni, e le profonde spaccature, forse ormai insanabili.

“Una famiglia senza amici, una famiglia di disadattati”

James e Marilyn si sono conosciuti all’Università, lui docente responsabile di un corso sulla figura del cowboy nell’immaginario americano, lei aspirante studentessa di medicina. L’amore, un bambino in arrivo, il matrimonio in un’America di fine anni ‘50 che non vedeva di buon occhio le unioni interrazziali. James, infatti, pur essendo nato e cresciuto in America, è di origine asiatica, cosa che non passa certo inosservata. Vent’anni e tre figli dopo, i Lee vivono in una piccola cittadina del Midwest, con James in un college quasi sconosciuto e Marilyn ormai rassegnata al ruolo di moglie e madre. Dei tre figli, solo la seconda, Lydia, ha ereditato gli occhi azzurri della madre, e per James è l’unica che potrà davvero integrarsi, essere come tutti gli altri, destinata alla popolarità e al successo. Il figlio maggiore, Nath, gli assomiglia troppo, sia fisicamente sia caratterialmente, una sorta di doppione condannato a vivere la medesima adolescenza solitaria e senza amici, introverso, con ottimi risultati scolastici ma scarso nello sport. Della piccola Hannah di soli undici anni nessuno si cura: silenziosa, abituata a rintanarsi in un angolo, passa inosservata, eppure è attentissima e cosciente testimone di tutte le dinamiche all’interno della famiglia. Per quanto riguarda Marilyn, sono ormai più di 10 anni che ogni suo sforzo, ogni sua energia, sono concentrati su Lydia: dopo aver abbandonato definitivamente l’idea di poter riprendere l’Università, si è convinta che sarà la figlia a realizzare il suo sogno, a farsi strada in un mondo di uomini, diventando un medico di successo.

“Nella sua mente, Marilyn tesseva il futuro di Lydia con un lungo filo dorato, il futuro che era convinta che anche la figlia volesse: Lydia con i tacchi alti e un camice bianco, uno stetoscopio intorno al collo; Lydia china su un tavolo operatorio, circondata da uomini impressionati dalla sua bravura. Ogni giorno sembrava sempre più possibile.”

“Nel suo intimo, Lydia sentiva quello che l’aspettava. Un giorno i libri non avrebbero avuto figure. I problemi si sarebbero fatti più lunghi e difficili. Ci sarebbero stati frazioni, decimali, esponenti. I giochi sarebbero diventati più complessi. Davanti a un polpettone, la madre avrebbe detto: Lydia, sto pensando a un numero. Se lo moltiplichi per due e aggiungi uno, otterrai sette. Avrebbe fatto i conti a ritroso fino a ottenere la risposta esatta, e la madre avrebbe sorriso servendo il dessert. Un giorno la madre le avrebbe dato un vero stetoscopio. Avrebbe aperto i primi due bottoni della camicetta, premendosi la testina sulla pelle in modo che Lydia sentisse battere il suo cuore. È quello che usano i medici, le avrebbe detto. Era un futuro remoto, minuscolo visto da lontano, ma Lydia sapeva che sarebbe arrivato. La consapevolezza aleggiava intorno a lei, le si stringeva addosso, ogni giorno più spessa. Ovunque andasse, era lì. Ma ogni volta che la madre chiedeva, lei rispondeva sì, sì, sì.”

Gli altri due figli ai suoi occhi quasi non esistono. Lydia si trova così ad essere il fulcro dell’intera famiglia, colei su cui entrambi i genitori convogliano tutto quello che avrebbero voluto per sé, ma a cui hanno dovuto rinunciare per un motivo o l’altro.

“Lydia – il centro riluttante del loro universo – ogni giorno teneva insieme il mondo. Faceva propri i sogni dei genitori, zittendo la riluttanza che ribolliva in lei.”

Quando la mattina del 3 maggio 1977 Lydia scompare, ognuno dei Lee si troverà a dover affrontare quello che è sempre stato taciuto, cercando di rimettere insieme i pezzi di una famiglia ormai allo sbando.


Quello che non ti ho mai detto è un romanzo intenso, un’analisi verosimile e sofferta dei rapporti all’interno di una famiglia, che talvolta finiscono per soffocare i suoi stessi membri.
Ha la parvenza di un thriller (la scomparsa di Lydia, il ritrovamento del corpo senza vita, i dubbi su cosa sia veramente accaduto - omicidio? Suicidio?), ma in realtà la vera indagine è sui personaggi: la psicologia, le aspirazioni, le tante ferite dello spirito.
Ognuno è vittima e carnefice: James dei pregiudizi razziali, Marilyn di una società che relega la donna entro confini ben definiti, accollandole sempre e comunque il peso della famiglia, Nath dell’insoddisfazione del padre, Lydia delle pressioni dei genitori, Hannah del l’indifferenza della famiglia; a loro volta, James bullizza Nath, Marilyn soffoca Lydia, Nath è troppo preso dall’idea di star finalmente per lasciare casa iniziando il college per accorgersi che Lydia sta raggiungendo il punto di rottura, Lydia non fa altro che portare avanti una bugia, Hannah, pur avendo visto, ha deciso di tacere.
Chi più chi meno, sono tutti colpevoli, ma forse c’è ancora una speranza di redenzione.

Un libro da non lasciarsi sfuggire per riflettere sulla famiglia, ma anche per capire che è meglio lottare per raggiungere i propri obiettivi contro tutto e tutti, piuttosto che vivere nel rimpianto, per non rischiare di ferire non solo noi stessi, ma anche chi ci è accanto.

“Amiamo così tanto, speriamo così tanto, e alla fine ci ritroviamo senza niente. Figli che non hanno più bisogno di noi. Un marito che non ci vuole più. Nient’altro che noi, da soli, in uno spazio vuoto.”